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- La battaglia di Mosca - Arrigo Petacco - Ita [TNT Village] -


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LA BATTAGLIA DI MOSCA (1969)
di Arrigo Petacco





:::-Richard Sorge-:::

È un peccato che, a quarant’anni dalla sua uscita, nessun editore abbia pensato di ristampare il saggio che F. W. Deakin e G. R. Storry scrissero sulla vicenda intellettuale e politica di Richard Sorge, The Case of Richard Sorge, appunto (in Italia allora lo tradusse Einaudi). È un peccato perché la storia di quella che fu definita “la più grande spia del XX secolo” si presta oggi come non
mai a considerazioni che hanno a che fare con la geopolitica e i rispettivi interessi nazionali delle grandi e medie potenze, nonché sul giusto peso che i sistemi politici debbono dare alle alleanze strategiche su scacchieri internazionali. Né va sottaciuto o dimenticato il “fattore umano”, che nel caso di Sorge raggiunse vette inconsuete: tedesco da parte di padre, russo e nato a Baku da parte di madre, volontario nelle file della Werhmacht nella Prima guerra mondiale, più volte ferito e decorato al valor militare, agitatore comunista negli anni Venti e membro del Comintern sovietico, agente doppiogiochistain Cina e in Giappone negli anni Trenta.
La più grande spia del XX secolo” abbiamo appena scritto, ma Sorge stesso non sarebbe stato d’accordo con questa definizione e vale la pena di capirne il perché: “Lo spionaggio normale cerca i punti deboli nelle strutture di una nazione. Il mio scopo era, invece, di mantenere la pace fra il Giappone e l’Unione Sovietica. Perciò, io non ritengo che le mie attività fossero contrarie agli interessi nazionali del Giappone”. Politicamente parlando, Sorge si era attribuito una missione più complessa che si può così sintetizzare: influire, attraverso l’ambasciata tedesca di Tokio, sulla politica di Berlino, indirizzandola in modo utile all’Unione Sovietica. In modo utile non voleva però dire nocivo per Berlino: Sorge era fra quelli che ritenevano giusta una politica di non aggressione fra i due Stati e che vedeva nello scenario dell’Estremo Oriente più logica un’espansione giapponese verso il Pacifico, ovvero contro gli Stati Uniti, che verso gli Urali, ovvero Mosca. Conosceva la geografia e sapeva farla interagire con la storia...
Il termine “spia”, si sa, ha in sé qualcosa di ambiguo se non di sporco, e non sorprende che Sorge lo rifiutasse. Ma prima di addentrarci un po’ di più sulla reale consistenza di quel rifiuto, va comunque detto che il comparativo qualificativo che l’accompagna è giustificato. Sorge, tanto per intenderci, fu colui che trasmise a Stalin la data dell’attacco di Hitler all’Urss e del Giappone agli Stati Uniti, fu l’uomo che non scassinava casseforti perché i documenti gli venivano mostrati dai loro proprietari, e non sparava per penetrare là dove gli interessava, perché le porte gli venivano aperte dai custodi del segreto...
Gli eccezionali risultati da lui raggiunti si spiegano con il combinato disposto di una ricca rete di informatori, certo, ma anche con la capacità di analisi e di studio delle situazioni, con un approfondimento accurato relativo alla storia dei Paesi in cui si trovò ad operare. Il giorno in cui lo arrestarono, i poliziotti giapponesi misero i sigilli a una casa che conteneva più di mille libri sul Sol Levante, usi, tradizioni e costumi, economia e politica, pensiero militare...
Sorge arrivò in Giappone nel settembre del 1933. Precedentemente era stato in Cina, dove essenzialmente aveva svolto il compito di un esperto osservatore politico ed economico, quale egli era. Aveva quindi indagato sulla struttura del governo di Chiang Kaishek sul ruolo delle potenze occidentali in loco, sull’agricoltura e l’industria cinesi. Tutto ciò perché le autorità sovietiche potessero
giudicare con cognizione di causa, dopo i disastrosi episodi insurrezionali di Canton e di Shangai del 1927, i rapporti di forze esistenti in quel Paese fra i nazionalisti del Generalissimo, le varie bande locali dei “signori della guerra” e i comunisti. C’era rimasto tre anni, facendo base a Shangai e
districandosi in quello che per le contemporanee presenze delle legazioni europee, di quella americana - ciascuna di esse dotata di propri organi di polizia e di autogoverno - del potere nazionalista e della volontà cospiratoria comunista era un vero e proprio infernale labirinto di doppi e tripi giochi politici, di malavita organizzata e di violenza quotidiana...
L’esserne uscito vivo, l’aver svolto con intelligenza il suo compito di osservatore, di analista e di informatore testimonia della sua intelligenza e della sua personalità. Già, perché oltre al Sorge professionista dell’informazione, c’era anche un tipo umano al di fuori del comune.

Nato nel 1895, Richard era allora un maturo trentenne alto e robusto, claudicante per le ferite di guerra, forte bevitore, poliglotta e polemista, a suo agio in ogni classe sociale. Il fronte gli aveva dato quella noncuranza nei confronti del rischio che unita a una buona educazione altoborghese e a un’abitudine ormai decennale al travestimento, a doppi passaporti, all’entrare e uscire dai confini degli Stati senza farsi notare, aveva finito con il costruirgli una personalità singolare, magnetica e insieme sfuggente. Tutti lo conoscevano, o meglio, tutti si illudevano di conoscerlo, ma in realtà nessuno sapeva bene chi veramente fosse.

In questo era anche favorito dal vivere in una colonia tedesca, quella di Tokio, isolata all’altra estremità del mondo, dove gli echi della madrepatria arrivavano attenuati e dove il manifestare, come egli faceva, il radicalismo critico tipico di chi si considerava fuori della mischia, veniva più addebitato al carattere di un ex combattente della Grande guerra che non a valutazioni ideologiche anti-regime. Fra il bar dell’- hôtel Imperiale, le birrerie Rheingold e Fledermans, gli alberghi sul lungomare di Hommoku e di Yokoama, Sorge veniva visto come un tipico membro di quello che gli europei
benpensanti di stanza in Giappone avevano soprannominato il “Balkan club”: scapoli, bevitori, frequentatori di locali notturni e di prostitute. Al numero 30 di Nagasa kacho, Sorge riceveva spesso la visita di Myake Hanako, entraineuse del Rheingold, che dopo un lungo corteggiamento aveva accettato di divenire la sua concubina. Dai suoi ricordi vien fuori l’immagine di un uomo generoso e gentile, volitivo, ma controllato.
L’unica volta che perderà il controllo sarà il giorno in cui seppe dell’attacco tedesco contro l’Urss: quel giorno pianse come se gli si spezzasse il cuore. “Sono solo” le confessò. Sarà Hanako-san a recuperare i resti di Sorge nel dopoguerra, seppelliti in forma anonima nel cimitero Zoshigaya dalle autorità carcerarie di Sugamo e a trasferirli in quello di Tama, alle porte della città.
Per un occidentale, il Giappone di quegli anni era un Paese paradossale, guidato in teoria da un imperatore divino, che però non poteva esercitare quasi nessuna autorità diretta, governato da una burocrazia centralizzata che nelle questioni importanti doveva però seguire i dettami di una delle Forze armate. Una nazione famosa per l’obbedienza, la disciplina confuciana, l’abnegazione della sua gente, e tuttavia ospitante demoni ribelli, nel suo cuore più profondo la cui violenza omicida esplodeva sempre in nome dell’imperatore. Una sorta di libro chiuso per uno straniero, insomma, e che però con intelligenza e pazienza Sorge riuscì ad aprire e imparò a leggerlo.
Si deva a lui l’invenzione della frase “Espansione permanente”, per spiegare la politica giapponese dopo la fallita insurrezione militare del 1936. Suggerita dalla formula della “rivoluzione permanente” di Trockij stava a indicare la scelta del governo al bivio fra introdurre nuove riforme sociali e nuova disciplina all’interno dell’esercito da un lato, ovvero scaricare all’esterno le contraddizioni e
le tensioni nazionali.
Sorge capì che sarebbe stata querst’ultima l’opzione scelta, ma capì anche che l’espansione sarebbe stata rivolta verso la Cina e non verso l’Urss: “Avevo in mente - scriverà - una tradizione di espansione che risaliva ai giorni dell’imperatrice Jingo”.
Sorge, dunque, non era una semplice “cassetta delle lettere”, ovvero un postino che si limitava a ricevere e/o smistare notizie “segrete” e informazioni. “È sempre stato mio desiderio e piacere personale imparare qualcosa sui luoghi in cui mi sono trovato, e questo specialmente nei riguardi del Giappone e della Cina. Non ho mai considerato tale studio soltanto un mezzo per raggiungere uno scopo. Se avessi vissuto in condizioni sociali pacifiche in un ambiente di pacifica evoluzione politica, sarei forse stato uno studioso, non certo un agente di spionaggio”.
È di Sorge la miglior analisi della “rivolta dell’esercito del’36” e il fatto che essa fu pubblicata sulla rivista di geopolitica di Karl Haushofer, inserisce l’altro elemento di una vita singolare, un comunista con credenziali nazionalsocialiste...
Qui bisogna ritornare da dove siamo partiti, ovvero dalla capacità di valutare le alleanze politiche non in nome dell’ideologia, ma, appunto, degli interessi nazionali e delle zone di influenza. Sorge non avrebbe voluto che Germania e Urss entrassero in rotta di collisione: favoriva un asse Berlino-Mosca- Tokio, memore che “l’esercito tedesco, prima dell’avvento di Hitler, aveva ricavato grandi vantaggi dalla collaborazione con l’Unione sovietica; e che l’aeronautica e l’artiglieria tedesche si potevano dire il prodotto delle fabbriche sovietiche”... Diede comunque al Cremlino le informazioni necessarie per fronteggiare con successo l’invasione. Solo la miope megalomania e paranoia di Stalin rese sul momento vano il suo lavoro...
Sorge fu scoperto quasi per caso, per colpa di una “Filiera” estranea alla sua organizzazione. Fu arrestato che il Giappone, come da lui indicato, era appena entrato in guerra contro gli Stati Uniti, fra interrogatori e processo restò in carcere tre anni, collaborò, ma non rinnegò né tradì, fu impiccato il 7 novembre 1944. Il procuratore Yoshikawa, che istruì la sua condanna disse: “In tutta la mia vita non ho mai incontrato un uomo di tale levatura”.

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